venerdì 4 novembre 2016

Condizionamento operante in atto: Rinforzi e punizioni (prima parte)

Apriamo subito una piccola parentesi sugli studi condotti dai ricercatori più famosi nella storia: partiamo da Pavlov il quale definì il condizionamento classico per arrivare a Skinner, il quale definì il condizionamento operante.
Siamo a metà del 1800, quando gli approcci allo studio della mente, definita “black box” (scatola nera) si basavano sull’osservazione del comportamento emesso (visto in qualità di relazione tra stimolo e risposta) e non era possibile, secondo il tempo, studiare le cause di quel determinato comportamento.
Quindi da un lato abbiamo il comportamentismo e la mente vista come una scatola nera incomprensibile, dall’altro abbiamo il cognitivismo e la mente vista come un sistema indipendente da stimoli biologici, culturali, sociali ecc.
Si arriva a Pavlov all’inizio del 1900 ed ai suoi studi sulla risposta condizionata che fece proprio sul cane. 
Riassumendo: uno stimolo neutro come il suono di una campanella veniva associato più volte al cibo (stimolo incondizionato, poiché il cane saliva naturalmente alla vista del cibo) ottenendo che il cane salivasse, risposta condizionata, ogni volta che sentiva la campanella.
Quindi lo stimolo neutro diveniva così uno stimolo condizionato creando una risposta condizionata.

In seguito arriva Thorndike che formulò la teoria dell’apprendimento per prove ed errori, cioè compiendo tentativi diversi, per arrivare alla soluzione di un problema dove i tentativi che portano alla soluzione tendono ad essere ripetuti mentre quelli che non portano a nulla vengono abbandonati. 
Quindi la ripetizione di un comportamento porta all’apprendimento di questo con maggiore probabilità.

Circa a metà degli anni ’30 Skinner allarga gli studi al comportamento che può essere influenzato non solo da ciò che accade prima ma anche da ciò che succede dopo l’emissione del comportamento: qui arriviamo al concetto di premi (ricompense) e punizioni. 
La questione si allarga e dal semplice riflesso o condizionamento classico pavloviano arriviamo al vero e proprio condizionamento operante, in cui un comportamento può essere rinforzato e quindi ripresentarsi con una maggior probabilità o indebolito e quindi presentarsi sempre di meno fino ad estinguersi.
RINFORZO è tutto ciò che sia in grado di far aumentare la probabilità che un comportamento venga emesso.
PUNIZIONE è tutto ciò che sia in grado di far diminuire la probabilità che un comportamento venga ripetuto, possibilmente portandolo ad estinguersi.
Positivo e negativo devono esser visti in termini matematici possiamo dire, come aggiunta o sottrazione di qualcosa e non come “piacevole” o “spiacevole”, aggettivi che possiamo dare agli stimoli aggiunti o tolti ma non al metodo.
Si possono distinguere rinforzi primari, che fanno riferimento ai bisogni primari del cane come bere e mangiare, e rinforzi secondari, che fanno riferimento ai bisogni secondari come il gioco o le gratificazioni sociali (carezze e complimenti).
Il rinforzo non è da confondersi con una cosa che noi diamo al cane al pari di un distributore automatico, ma è qualcosa che al cane piace molto e che vuole ottenere.
Sta a noi scoprire quale sia il rinforzo migliore per il nostro cane, quindi quello che piace e lo stimola maggiormente.

Facciamo attenzione però anche al fatto che il valore del rinforzo aumenta o diminuisce a seconda delle situazioni: magari in casa possiamo usare un biscottino ma fuori casa, dove gli stimoli e le distrazioni sono maggiori (altri odori, cani, persone, ecc), il biscottino perde il suo “potere”. Quindi sperimentate e osservate il vostro cane nelle diverse situazioni in relazione ai diversi stimoli e rinforzi proposti.

Il concetto di premio e punizione spesso non è chiaro, spesso è associato a bocconcino o strattone. L’inganno è sottile, a volte ciò che noi reputiamo un premio non lo è per il cane così come ciò che noi interpretiamo come punizione può non esserlo.
Ci sono alcuni cani che pur prendendo botte dai proprietari ne sono gratificati poiché è contatto fisico e attenzione che gli viene data, quindi anche se non picchiamo il cane ma gli urliamo contro quando abbaia, per esempio, è uno stimolo negativo (condito di emozioni negative da parte nostra, una vera e propria aggressione) ma è pur sempre attenzione che un cane solo e bisognoso di attenzione richiede. Quindi in questo caso possiamo rinforzare l’abbaio come richiesta di attenzione anche se aggiungiamo percosse o urloni, percepiti da noi come stimoli negativi ma dal cane come positivi poiché è riuscito nell’intento di richiamare l’attenzione e averci vicino.
Questo è stato un esempio molto ingigantito, mi auguro che non sia presente come dinamica nella vostra quotidianità.

Ad esempio delle coccole non gradite possono trasformarsi in punizione vissuta dal cane, che può sopportare con noi ma non con gli estranei. Il contatto fisico è un vero e proprio atto di fiducia che il nostro cane ci sta dando, ad esempio se fa un esercizio in modo esemplare, gli diamo un bocconcino e gli strapazziamo la testa stiamo creando caos poiché magari il cane associa al bocconcino (rinforzo positivo) le nostre coccole eccessive (punizione positiva). Questo tipo di associazioni rischia di allungare i tempi nel lavoro con il cane, creare piccoli conflitti di comunicazione nel rapporto e confusione emotiva.

Se vuoi approfondire contatta un bravo educatore.
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