Apriamo subito una piccola parentesi
sugli studi condotti dai ricercatori più famosi nella storia: partiamo da
Pavlov il quale definì il condizionamento classico per arrivare a Skinner, il
quale definì il condizionamento operante.
Siamo a metà del 1800, quando gli
approcci allo studio della mente, definita “black box” (scatola nera) si
basavano sull’osservazione del comportamento emesso (visto in qualità di
relazione tra stimolo e risposta) e non era possibile, secondo il tempo,
studiare le cause di quel determinato comportamento.
Quindi da un lato abbiamo il
comportamentismo e la mente vista come una scatola nera incomprensibile,
dall’altro abbiamo il cognitivismo e la mente vista come un sistema
indipendente da stimoli biologici, culturali, sociali ecc.
Si arriva a Pavlov all’inizio del
1900 ed ai suoi studi sulla risposta condizionata che fece proprio sul cane.
Riassumendo: uno stimolo neutro come il suono di una campanella veniva associato
più volte al cibo (stimolo incondizionato, poiché il cane saliva naturalmente alla
vista del cibo) ottenendo che il cane salivasse, risposta condizionata, ogni
volta che sentiva la campanella.
Quindi lo stimolo neutro diveniva
così uno stimolo condizionato creando una risposta condizionata.
In seguito arriva Thorndike che formulò
la teoria dell’apprendimento per prove ed errori, cioè compiendo tentativi
diversi, per arrivare alla soluzione di un problema dove i tentativi che
portano alla soluzione tendono ad essere ripetuti mentre quelli che non portano
a nulla vengono abbandonati.
Quindi la ripetizione di un comportamento porta
all’apprendimento di questo con maggiore probabilità.
Circa a metà degli anni ’30 Skinner
allarga gli studi al comportamento che può essere influenzato non solo da ciò
che accade prima ma anche da ciò che succede dopo l’emissione del
comportamento: qui arriviamo al concetto di premi (ricompense) e punizioni.
La
questione si allarga e dal semplice riflesso o condizionamento classico
pavloviano arriviamo al vero e proprio condizionamento operante, in cui un
comportamento può essere rinforzato e quindi ripresentarsi con una maggior
probabilità o indebolito e quindi presentarsi sempre di meno fino ad
estinguersi.
RINFORZO è tutto ciò che sia in grado di far
aumentare la probabilità che un comportamento venga emesso.
PUNIZIONE è tutto ciò che sia in grado di far diminuire
la probabilità che un comportamento venga ripetuto, possibilmente portandolo ad
estinguersi.
Positivo e negativo devono esser
visti in termini matematici possiamo dire, come aggiunta o sottrazione di
qualcosa e non come “piacevole” o “spiacevole”, aggettivi che possiamo dare
agli stimoli aggiunti o tolti ma non al metodo.
Si possono distinguere rinforzi primari,
che fanno riferimento ai bisogni primari del cane come bere e mangiare, e
rinforzi secondari, che fanno riferimento ai bisogni secondari come il gioco o
le gratificazioni sociali (carezze e complimenti).
Il rinforzo non è da confondersi con
una cosa che noi diamo al cane al pari di un distributore automatico, ma è
qualcosa che al cane piace molto e che vuole ottenere.
Sta a noi scoprire quale sia il
rinforzo migliore per il nostro cane, quindi quello che piace e lo stimola
maggiormente.
Facciamo attenzione però anche al
fatto che il valore del rinforzo aumenta o diminuisce a seconda delle
situazioni: magari in casa possiamo usare un biscottino ma fuori casa, dove gli
stimoli e le distrazioni sono maggiori (altri odori, cani, persone, ecc), il
biscottino perde il suo “potere”. Quindi sperimentate e osservate il vostro
cane nelle diverse situazioni in relazione ai diversi stimoli e rinforzi
proposti.
Il concetto di premio e punizione
spesso non è chiaro, spesso è associato a bocconcino o strattone. L’inganno è
sottile, a volte ciò che noi reputiamo un premio non lo è per il cane così come
ciò che noi interpretiamo come punizione può non esserlo.
Ci sono alcuni cani che pur
prendendo botte dai proprietari ne sono gratificati poiché è contatto fisico e
attenzione che gli viene data, quindi anche se non picchiamo il cane ma gli
urliamo contro quando abbaia, per esempio, è uno stimolo negativo (condito di
emozioni negative da parte nostra, una vera e propria aggressione) ma è pur
sempre attenzione che un cane solo e bisognoso di attenzione richiede. Quindi
in questo caso possiamo rinforzare l’abbaio come richiesta di attenzione anche
se aggiungiamo percosse o urloni, percepiti da noi come stimoli negativi ma dal
cane come positivi poiché è riuscito nell’intento di richiamare l’attenzione e
averci vicino.
Questo è stato un esempio molto
ingigantito, mi auguro che non sia presente come dinamica nella vostra
quotidianità.
Ad esempio delle coccole non gradite
possono trasformarsi in punizione vissuta dal cane, che può sopportare con noi
ma non con gli estranei. Il contatto fisico è un vero e proprio atto di fiducia
che il nostro cane ci sta dando, ad esempio se fa un esercizio in modo
esemplare, gli diamo un bocconcino e gli strapazziamo la testa stiamo creando
caos poiché magari il cane associa al bocconcino (rinforzo positivo) le nostre
coccole eccessive (punizione positiva). Questo tipo di associazioni rischia di
allungare i tempi nel lavoro con il cane, creare piccoli conflitti di
comunicazione nel rapporto e confusione emotiva.
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